SISTINA 57
IL PROGETTO
Economia

Se l’inflazione si mangia la crescita

È passato meno di un anno da quando l’economia italiana intravedeva l’uscita dalla pandemia e prefigurava una vigorosa ripresa caratterizzata da alti tassi di crescita e riduzione dei livelli di deficit e debito pubblico. E invece, con un po’ di sorpresa, già nella seconda parte del 2021, in Italia e nelle economie mondiali, è riapparsa con prepotenza l’inflazione.


In Italia, gli ultimi dati Istat di marzo 2022 fanno registrare una crescita dei prezzi al consumo su base annua pari a 6,5% (a febbraio era del 5,7%): la più alta dal 1995. Dalle altre parti d’Europa e del mondo industrializzato non sembra andare meglio: nell’Eurozona, sempre a marzo 2022, secondo dati preliminari, l’inflazione al consumo si è portata al 7,5 per cento. Negli Stati Uniti, a marzo, la crescita dell’inflazione, su base annua, è stata dell’8,5%,


Quello dell’inflazione è un fenomeno col quale le economie industrializzate non avevamo a che fare da quasi 20 anni. Anzi, negli scorsi anni, caratterizzati da tassi d’interesse negativi e da politiche monetarie espansive, le autorità di politica economica e le Banche centrali si erano preoccupati soprattutto di contrastare il rischio opposto, quello della deflazione.


Guardando al problema inflazione, lo si era interpretato come generato da pressioni sulla domanda, dovute alla vigorosa ripresa economica mondiale alle prese con le strozzature nelle filiere dell’offerta globalizzata. Ed in una certa misura ciò è fondato. Si pensava, pertanto, ad una situazione transitoria che l’economia avrebbe risolto nel breve periodo, eliminate le rigidità nell’offerta. Non sembra sia così.
Anzi, già prima dell’esplosione del conflitto tra Russia e Ucraina, i prezzi delle materie prime, ed in particolare quelli dell’energia, avevano preso a crescere velocemente. All’inflazione da domanda si è aggiunta una inflazione spinta dai costi. Ma la cosa più preoccupante è che questa situazione ha fatto volgere in negativo le aspettative. I mercati vedono la crescita dei prezzi in accelerazione e se queste previsioni venissero confermate si potrebbero concretizzare diversi rischi: un aumento dei costi di produzione per le imprese, che determina perdite di competitività sui mercati e frenata della produzione; un aumento del carovita per le famiglie, che fa saltare i bilanci familiari e provoca riduzioni del consumo; un aumento dei tassi di interesse, che conduce ad un peggioramento dei conti pubblici ed ad una difficile gestione del debito pubblico. Nel complesso, per sintetizzare, rischi concreti di recessione. Al riguardo, le ultime sulla produzione industriale (in Italia e in Germania) prefigurano già scenari foschi soprattutto in Italia ed in Europa.



 

Le conseguenze dell’inflazione


È noto come l’inflazione tagli il potere di acquisto, danneggiando in particolare i percettori di reddito fisso, svaluti i risparmi accumulati da famiglie e imprese e ne riduca la ricchezza reale, con la conseguenza di creare un clima di sfiducia e incertezza.

In questo quadro l’intonazione delle politiche monetarie perseguite dalle Banche Centrali si sta modificando. La FED, come la banca centrale inglese e canadese, ha iniziato un percorso di rientro dalle politiche di Quantitative Easing e di innalzamento graduale dei tassi di interesse, attraverso ulteriori interventi di aumento nel corso del 2022.


La BCE, che gestisce la politica monetaria nell’area euro, considerato il diverso scenario macroeconomico dell’economia europea rispetto a quella americana, sta invece fronteggiando l’attuale fase di incertezza con più cautela. Ha previsto una prima fase di interventi graduali, cosiddetti “non convenzionali”, di riduzione della liquidità, fino a giugno 2022, attraverso un calo degli acquisti netti mensili di titoli pubblici e privati previsti nell’ambito del programma Asset Purchase Programme (APP).
A seguire, sulla base dell’andamento dei principali indicatori economici, valuterà come procedere attraverso interventi di aumento dei tassi d’interesse. Nella sostanza si tratta di una politica attendista che aspetta di capire come si evolverà lo scenario, di inflazione o di recessione, prima di intervenire, anche se le aspettative più recenti indicano che già entro fine anno il processo di risalita dei tassi sarà stato avviato.


L’Italia, dopo un biennio di pandemia che ha pesantemente colpito l’economia e peggiorato i conti pubblici, sta affrontando anche i problemi causati dal conflitto in Ucraina e dalla necessità di variare velocemente il mix delle attuali fonti di rifornimento energetico per ridurre la dipendenza dal gas russo.


Il governo è già intervenuto con una moratoria sull’aumento del prezzo dei prodotti energetici per evitare effetti negativi su imprese e famiglie, nella speranza di una rapida fine del conflitto in atto, ma così non sembra. Gli interventi attuati di sospensione delle accise fino a giugno, rischiano di non essere sufficienti, da soli, a stemperare le preoccupazioni sui conti pubblici e sulle aspettative di famiglie e imprese.


Anche la ricerca di nuovi Paesi partners in sostituzione della Russia da cui acquistare energia e il contestuale avvio di politiche energetiche da fonti rinnovabili rappresentano soluzioni in via di urgente adozione, ma rappresentano, soprattutto le seconde, opzioni i cui effetti positivi non si potranno vedere a breve termine, per cui il rischio di un aumento duraturo dei prezzi dell’energia potrebbe rafforzare la preoccupazione di una inflazione in risalita e non transitoria.

Nell’ultimo “Bollettino Economico” della Banca d’Italia sono descritti tre scenari relativi agli effetti della guerra su PIL e inflazione in Italia. Nello scenario peggiore la crescita svanirebbe (il PIL diminuirebbe di circa mezzo punto percentuale nel 2022 e nel 2023), mentre l’inflazione si avvicinerebbe all’8 per cento nel 2022 (per scendere al 2,3 l’anno successivo). Ovviamente non sono ancora dati tutti gli interventi possibili di politica economica che potrebbero essere introdotti dal governo e di fondo si spera che si tratti comunque di una situazione temporanea.


Tuttavia, anche alla luce di queste considerazioni, occorre tener conto delle dinamiche sociali che potrebbero nel frattempo derivarne, colpendo principalmente i percettori di reddito fisso e il mondo del lavoro autonomo, che rischierebbero di perdere il potere di acquisto in assenza di interventi mirati a contenere il pericolo “inflazione” In altre parole, ci sarebbe bisogno, pertanto, di un impegno serio verso una nuova politica dei redditi.


L’auspicio è che ci si prepari al peggio in arrivo non tanto con politiche transitorie a breve termine, quanto con provvedimenti strutturali che garantiscano riparo sicuro.



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